Alakim – Anteprima del 3° Volume

Cosa sta succedendo ad Alakim?
Il suo potere è a rischio e con lui tutti coloro che gli sono più vicino.

Alakim ferito si appoggia alla spalla di Nicole pensierosa
Il romanzo è in fase di stesura.
Il testo del può essere quindi soggetto
a variazioni in fase di editing.
Cover e titolo non sono ancora stati definiti.

Un’anticipazione del Volume 3: il Capitolo 1

Ancorato al soffitto e al pavimento unicamente da grosse catene d’acciaio, il letto di Alakim era più stabile di quanto potesse sembrare.
Muriel lasciò che Nicole gli sedesse tra le gambe e appoggiasse la schiena al suo torace, così da stare più comoda. «…Quindi ho accettato il denaro di quella donna e poi ci siamo spostati nell’area privé» le stava spiegando. «Trovandosi a tradire il marito per la prima volta era molto tesa, perciò mi sono offerto di farle preparare qualcosa da bere prima di andarci a rinchiudere nella sua stanza d’albergo» fece una pausa prendendo dalle dita di Nicole lo spinello e aspirando profondamente. «Beh, l’ho fatta accomodare e mi sono infilato tra la folla» esalò insieme al fumo. «C’era un sacco di gente al Rear quella sera.»
«Non divagare» lo redarguì Nicole. «Voglio sapere com’è andata a finire.»
«Ora te lo dico.» Passò la sigaretta truccata alla sua destra, lasciandola scivolare tra l’indice e il medio di Alakim, seduto accanto a loro. «Mi sono avvicinato al banco bar e ho fatto la mia ordinazione a César, quando ho sentito una gran palpata di culo.»
«No, non ci credo! Non è possibile: hai appena detto che quella donna non aveva neanche il coraggio di darti la mano.»
«Infatti non era lei. Era un altro mio cliente.»
Nicole si girò di tre quarti sollevando un po’ la schiena. «Un uomo?»
Il moto di gelosia che provava per il Nephilim si fece più acuto, simile a un piccolo topino che le rosicchiava il fegato: ogni volta in cui indagava sul suo mestiere di gigolò equivaleva a un morsetto in più.
«Non dovrebbe stupirti. È un caso più eccezionale che raro, però mi può succedere quando ritengo che il maschio in questione lo meriti.»
«Lo meriti in base a cosa?»
«In questo caso alla bellezza.» Le accarezzò il caschetto di capelli fino alle punte sulla nuca, tornando a sentire il caldo contatto dei suoi lombi contro il bacino mentre lei si riadagiava. «Ho dato le spalle al banco e quell’uomo bellissimo mi ha fronteggiato, allungando sfacciatamente una mano sul mio viso. Mi ha sfiorato la guancia con le nocche. A quel punto, vedendo la donna venire nella mia direzione per raggiungermi, ho dovuto avvisarlo che il mio impegno della serata stava arrivando. L’ho fatto con parole cortesi e decise, alzando il tono, in modo che lei udisse e comprendesse la mia completa dedizione a lei sola per tutto il tempo acquistato. Adam, così si chiamava l’uomo, si è girato trovandosi davanti la mia cliente, stava per ribattere qualcosa, ma le parole gli sono morte in gola. Sono entrambi sbiancati, fissandosi come se avessero visto il peggior fantasma della loro vita.»
Il Serafino emise un soffio secco dal naso intuendo com’erano andate le cose.
«Si conoscevano?» chiese Nicole, il cui ragionamento era rallentato dallo stato di rilassamento nel quale si trovava.
«Erano marito e moglie. Nessuno dei due aveva il minimo sospetto del reciproco tradimento.»
«Oddio, che situazione di merda» commentò scossa da un risolino. «E com’è finita?»
Il Nephilim fece spallucce. «Gli ho fatto lo sconto famiglia.»
«No!»
«Sì, invece» confermò abbracciandole la vita.
«Te li sei fatti entrambi?»
«Entrambi e insieme. All’inizio è stata dura fargli superare il rancore, ma una volta che siamo stati noi tre soli in camera sono riuscito a gestirmeli. La loro intesa c’era ancora, dovevo solo ravvivare un po’ le braci ed è quello che ho fatto. Pensandoci bene potrei avere un futuro come consulente matrimoniale.»
«Sei… sei… osceno!» lo insultò ridendo e agli sghignazzi femminili si aggiunsero quelli dei due uomini. Risa che si consumarono in fretta, mentre l’ilarità collettiva gradualmente si spegneva, collassando in un silenzio tombale.
Alakim trovò gli occhi di Nicole persi nel tentativo di oltrepassare le sue lenti scure per cercare il suo sguardo. Lentamente si protese afferrandola per il collo e tirandola a sé nonostante le braccia di Muriel continuassero a trattenerla. Le soffiò sensualmente una lunga voluta di fumo direttamente sulla bocca schiusa. Lei aspirò abbassando le palpebre, riempiendosene i polmoni finché il Serafino non le serrò le labbra con un bacio drogato ed ella restò al centro di un tiro alla fune tra i due permanenti, sentendo l’esigenza di cedere da entrambe le parti, a costo di spezzarsi.
La mano del Nephilim le avvolse la gola risalendo con l’indice che le due bocche si trovarono a succhiare e condividere. Saggiandolo, Alakim guardò Muriel negli occhi malinconici, insieme percepì il triste e bisognoso abbandonarsi del corpo dell’Invocantes alle loro pressioni e comprese che entrambi, Nicole e Muriel, provavano il suo stesso senso di sconforto. Cosa diavolo stavano facendo?
Si levò di scatto, afferrò il maglione gettato sulla sedia e lo infilò camminando tra i mozziconi di candele accese. «Fanculo» imprecò. La rabbia gli aveva contratto i muscoli del petto e delle braccia.
«Non serve che ti danni» osservò Muriel lasciando andare la ragazza con un pesante sospiro.
«Da che pulpito» grugnì lui a denti stretti. «Hai portato in questa camera soltanto il tuo bel culo di puttana, lasciando il resto fuori. Beh, non vogliamo puttane a letto con noi.»
Muriel ignorò l’offesa. Sapeva cosa turbava il Serafino e non poteva negare che avesse pienamente ragione; la sua mente era fuori da quella stanza e i suoi pensieri rivolti a un unico indirizzo. A tempo debito aveva lottato con tutto se stesso, ma ora non era più quel tempo; nei secoli aveva appreso che c’erano momenti nella vita terrena in cui non si poteva far altro che pazientare. «Non puoi farci niente: l’abbiamo riportato, ora sta a lui.»
Nicole gattonò sul bordo del letto mettendo i piedi a terra. «Bet sta dimagrendo a vista d’occhio…» bisbigliò fissandosi gli alluci. Alzò il capo e vide Alakim uscire di gran lena dalla stanza, ancora scalzo. «Dove vai?»
In un attimo era svanito nel cunicolo buio, assorbito dall’oscurità.
Il Serafino risalì il tunnel fino a giungere alla porta della camera di Samshat, picchiò una volta le nocche sul legno e senza attendere risposta entrò in quella stanza grande almeno il doppio della sua, l’unica del rifugio somigliante agli interni di una vera casa. Muri intonacati, mobilio ricercato, gusto impeccabile.
«Novità?» chiese avanzando.
Betanie scosse le spalle passando la spugna umida sul vasto petto dell’uomo steso a letto. Sempre che si potesse definire “uomo” un ammasso di grossi muscoli totalmente inerme, incapace di alcuna reazione fisica, con occhi sbarrati rivolti soltanto al soffitto. Ordinato al pari di una bambola nei setosi capelli bianchi stesi ai lati del viso, nei lunghi baffi pettinati e nelle fasce di cuoio ai bicipiti, a ricordare l’indole guerriera di una precedente vita.
«Ancora niente: respira, il cuore batte, ma non dà alcun segno di ripresa. Non capisco, il dott. Foucher ha detto che non ha niente che non va, allora perché ancora non si muove e non parla?» Gli prese una mano e accarezzandola si abbassò su di lui. «Sam? Sam mi senti? Amore, sono io, Bet…»
Dalla poltrona ai piedi del letto si udì il tonfo di un libro che si chiudeva. Yoliah accantonò un grosso tomo su una pila di altri volumi.
«Bet, non insistere, per favore.» Si alzò e diede una lunga occhiata al figlio inanimato, poco più grande di lui nella stazza e d’aspetto ben più attempato. «È già tanto che tu debba accudirlo come un infante» osservò con la sua intransigenza di Angelo dei Dominatori. «Migliorerà. Deve migliorare.»
Avevano portato Samshat al rifugio da una settimana ormai, ma il Nephilim non aveva fatto alcun progresso.
«Vorrei avere il tuo ottimismo» ribatté lei, anche se il suo tono le era parso più impositivo che ottimista; come se ordinare a Samshat di guarire potesse davvero funzionare solo perché era suo padre a pretenderlo.
L’Angelo fece sfregare lentamente i denti tra loro, un gesto che ripeteva ogni volta in cui si sentiva contrariato. «“Ci gloriamo nelle afflizioni, sapendo che l'afflizione produce pazienza, la pazienza esperienza, e l'esperienza speranza.” [Romani 5:3,4]»
«Che culo. Se è così direi che dovreste risplendere nella gloria divina» considerò Alakim con tutto il sarcasmo possibile. «Del resto “Dio asciugherà ogni lacrima dai vostri occhi” [Apocalisse 21:4]. Quindi perché preoccuparsi?»
La verità era che Betanie stava perdendo peso, Yoliah perdeva speranza e Alakim la pazienza.
Il singhiozzo di Nicole, giunta insieme a Muriel e ferma sulla porta, attirò l’attenzione. «È colpa mia. Ho sbagliato di nuovo.»
«Non dire sciocchezze, ragazzina. Il fatto che questo cazzone non si voglia svegliare non dipende in alcun modo da te e da come l’hai invocato.»
Muriel si avvicinò, salì sul letto ponendo i suoi occhi nella traiettoria di quelli del grande Nephilim. Lo fissò guardando lui solo sapeva cosa. «Al ha ragione, Nicole. Hai strappato Sam dal Tartaro, lui è qui: io, Yoliah e il Serafino lo avvertiamo, anche tu dovresti percepirlo.»
Era difficile per lei avvertire la presenza di un Nephilim quando quella di Alakim era così invadente da saturare tutto lo spazio intorno. Anche quella di Yoliah era bella tosta. Concentrandosi però, ora che stava imparando a comprendere la natura delle sue percezioni, avrebbe confermato che sì, Samshat era tra loro. Trattenne le lacrime e annuì.
«Tu e tu» Alakim alzò il dito prima su una femmina e poi sull’altra, «avete bisogno di dormire. Resto io questa notte.»
«Non devi nutrirti?» gli chiese l’Angelo.
«Se dico che resto, vuol dire che resto. Da solo.» Non accettò alcuna protesta, spedì le ragazze a casa loro per un giusto riposo, il bel Nephilim al lavoro, e l’Angelo dei Dominatori a prendere una boccata d’aria.
Richiuse la porta della camera lasciando fuori ogni sorta di disturbo.
«Vedi di svegliarti, non sono adatto a fare la chioccia. Quello è il tuo mestiere» disse al corpo immobile. In effetti era sempre stato Samshat ad avere il controllo della situazione, a prendere le decisioni che spetterebbero a un leader e ad avere cura delle persone.
Sedette sulla poltroncina accanto al letto e si accese una Gauloises, ben sapendo che l’amico si sarebbe parecchio incazzato se si fosse messo a fumare in camera sua. Eppure, poco dopo essere rimasti soli, le palpebre di Samshat si abbassarono e il respiro rallentò come se si trovasse finalmente in pace.
Alakim lo era un po’ meno. I morsi della fame demoniaca gli rodevano le interiora e quel giorno non aveva nemmeno potuto attutirne gli effetti facendo sesso. Dopo Parigi, riabituarsi a giorni interi di digiuno stava ancora richiedendo uno sforzo considerevole.
Appoggiò il gomito al bracciolo sorreggendo la testa con il palmo, meditò per scacciare i crampi e sgombrare la mente, ipnotizzato dal ritmico alzarsi e abbassarsi del torace possente davanti a sé. A un tratto, un dubbio pungente come gli spilli che una volta gli erano stati infilati sotto le unghie s’intromise nel suo tentativo di scacciare i pensieri.
Forse Samshat aveva compiuto il proprio sacrificio e non voleva essere salvato. Forse era diverso da Alakimael e per lui una cattiva scelta non era sempre e necessariamente meglio che averne nessuna. Forse era il Serafino lo stupido che non era disposto a cedere nemmeno dinnanzi alle battaglie perse in partenza. Tanto cocciuto da confinare suo fratello agli inferi.
Se ogni sua parola non fosse parsa blasfema alle orecchie del creato, avrebbe potuto pregare per Samshat, ma come reietto non poteva chiedere compassione neanche per un amico. Il Creatore stesso aveva fatto del Serafino esattamente l’essere libero e ribelle che era, infischiandosene del cattivo sangue che sarebbe scorso tra loro. Perché?
“Perché dar vita a un uomo la cui via è oscura, e che Dio ha stretto in un cerchio? Io sospiro anche quando prendo il mio cibo, e i miei gemiti si spargono come acqua. Non appena temo un male, esso mi colpisce; e quel che mi spaventa, mi piomba addosso. Non trovo riposo, né tranquillità, né pace, il tormento è continuo. [Giobbe 3:23,26]”
La sua sofferente esistenza era un mistero di cui esclusivamente il suo intimo spirito angelico poteva intuire il significato. Come uomo, sapeva soltanto di trovarsi costretto a combattere con le sue sole forze per non lasciarsi sopraffare dall’oscurità e far coesistere in sé tutto il bene e tutto il male del mondo, quando invece un tempo era unicamente luce. Una luce pura e splendente, scevra da ogni male, quella luce che voleva annientare ogni tenebra.
Vivi in me un solo giorno, avrebbe voluto dire all’amico, e comprenderai la mia ostinazione.

***


Di una cosa Alakim era certo: era ora di nutrirsi.
Non ricordava nemmeno com’era accaduto che aveva lasciato Samshat per aggirarsi nelle vie più buie di Marsiglia, ma poco importava; dopo aver dato tregua alla sua fame sarebbe stato più semplice occuparsi di ogni altra problematica.
Non guasterebbe sforzarsi di adoperare un po’ di cervello anche ora, pensò rendendosi conto di essersi spinto, un passo dopo l’altro, in una zona che difficilmente batteva in tempo di caccia. Qualcosa lo aveva attirato fin laggiù: un presentimento, forse una diversa densità dell’aria, o più una… musica.
Sì, cominciava a udirla distintamente. Era ancora attutita da spesse pareti di cemento, eppure si spandeva con le sue vibrazioni attraverso la terra e le onde del suono. Un ritmo incalzante che riverberava nei potenti bassi, arrivando a scorrere veloce nelle vene, alla frequenza di centosessanta battiti al minuto, circa il doppio di un cuore in salute. Alla sua fame quella musica piaceva, ne era attratta e lo spingeva ad avanzare dandogli l’intima certezza di star udendo la melodia degli “inni” preferiti da Lucius. Potente, oscura ed eccitante promessa di peccato.
Svoltato un angolo di strada, fu evidente che anche gli uomini ne erano attratti. A giudicare dagli ingressi strabordanti del palazzetto dello sport, quella band doveva aver fatto il “tutto esaurito”.
Al ritmo si unì la voce stentorea del cantante, simile al rombo di un terremoto, udibile fin da laggiù. Suonava come un invito irresistibile.
Tenendosi nell’ombra, Alakim aggirò il palazzetto ed entrò di soppiatto dal retro. Nessuno lo fermò, confondendolo probabilmente con un addetto. Non appena fu all’interno, la musica lo avvolse completamente insieme alle parole della canzone gridata a squarciagola nel microfono:
«“Padre, mi dicesti ‘non temere sarà solo un momento’.
Padre, ho stretto un patto con la mia corda.
Mani salde legherà, colli sottili stringerà.
Io ti dirò ‘non temere, sarà solo un momento’.
E il momento diventerà un’eternità…”
»
Parole ispirate e ispiranti.
Si aggirò nel retroscena e sbucò sulle gradinate nel punto più alto del semicerchio, dal quale poteva dominare la platea gremita di ragazzi giovani e meno giovani, estasiati e urlanti. Di fronte, sul palco, cantante batterista e bassista facevano un chiasso da sembrare in venti anziché in tre. Nutrirsi in quel luogo era escluso, avrebbe generato un massacro, ancora non capiva cosa lo avesse spinto ad accantonare la sua priorità per spingersi fin lì. La musica… certo, quel fantastico chiasso era un balsamo per la sua anima demoniaca, eppure la sua testa si stava appesantendo. Lo stomaco rimescolava succhi gastrici e gli arti erano attirati al pavimento.
Cibo… implorò la fame quasi timidamente, come se essa stessa sapesse di non poter cogliere alcun nutrimento. Fu comunque pronta nel notare lo scoppio di un diverbio nel mezzo della folla, per Alakim perfettamente visibile anche nell’oscurità. Ben presto qualche semplice spintone si tramutò in una rissa e la stessa cosa parve accadere sulla fiancata sinistra delle scalinate. La sicurezza non riusciva a intervenire.
Il respiro del Serafino si infittì, quasi l’ossigeno non bastasse ai suoi polmoni, mentre la band infervorata si scatenava con un’energia tale che le note parevano poter graffiare i muri imprimendosi nel cemento. Qualcuno lo urtò, Alakim barcollò in avanti di qualche gradino trovandosi tra la calca, guardò sul palco per capire se si stessero rendendo conto del veloce degenerare della situazione, ma i musicisti sembravano tutti e tre ignari.
«“Padre, dammi la medicina amara. Fammela succhiare dalla tua ve… vena”» esplodevano le parole del canto come sassate nel palazzetto, mentre i proiettori si mettevano a fare scintille. Una cascata di zampilli infuocati, trasportati da un vento caldo che non avrebbe dovuto esistere in un ambiente chiuso come quello.
Alakim si stava sentendo male in un modo insolito: non era quel dolore che corrodeva l’animo, era più uno sfaldarsi delle cellule e un venir meno di ogni forza. Si prese il capo tra le mani, infilando le dita tra i capelli mogano, cercando di contenere le pulsazioni, il senso di svuotamento.
Vi furono urla, corpi che cadevano dalle gradinate, gettati a forza, la folla clamorosamente divisa in una maggioranza rabbiosa uscita di senno e una minoranza entusiasta, ancora inneggiante la band.
Quella musica era diventata una cosa viva, Alakim non aveva mai sentito nulla di simile: accarezzava e pungeva la pelle, la penetrava attraverso i pori e sconvolgeva la mente. Il ritmo frenetico del cuore dei presenti si era conformato a quello della batteria, tranne il suo che sembrava invece perdere colpi. Prima di stramazzare al suolo, si decise a togliere gli occhiali.
Un mezzo sorriso gli uscì guardando a occhi nudi il concerto tramutato nella bolgia di un girone infernale. Attese la sferzata di energia che ne sarebbe derivata, ma non accadde nulla; nessuna iniezione rinvigorente, nessuna malefica voce interiore, niente che potesse aiutarlo in qualche modo.
Rowan, il sicario irlandese del cui corpo si era appropriato, in buona salute era abbastanza dotato da poter far fronte anche a una mischia simile, ma il problema non era quello che stava accadendo intorno a lui, quanto quello che stava accadendo dentro di lui, ciò che lo stava indebolendo al punto da poterci rimettere le penne.
Improvvisamente la musica cessò, la band fu attirata dietro le quinte dagli uomini della sicurezza che non riuscivano più a mantenere il palco sgombro. I musicisti guardarono a occhi sgranati il pubblico come se solo in quel momento si accorgessero di quanto stava accadendo e nel mentre Alakim avvertì uno strappo dall’interno, dal cuore, risalire la gola e uscire dalla bocca. Cadde in ginocchio spalancando le mani tremanti per afferrare ciò che gli era stato tolto, fosse stato il fegato, i polmoni, o la lingua stessa. Fu allora che con un sussulto si svegliò.
Riaprendo gli occhi si ritrovò in camera di Samshat, con il gigante che dormiva in una quiete assoluta, disturbata solo dal respiro concitato del Serafino. Era la prima volta che faceva un incubo del genere, in cui veniva meno la sicurezza nel suo grande potere. Un sogno davvero fastidioso.
Avvertiva la fronte sudata nonostante la bassa temperatura della stanza. Si alzò per sciacquarsi il volto e le gambe si rifiutarono quasi di reggerlo. Fece passi instabili, prosciugato di ogni energia, fino a doversi reggere alla pediera del letto. Si fermò chino in avanti e vide una goccia rossa piovere dal suo viso sul tappeto chiaro. Portando immediatamente il dorso della mano alle narici si accorse che il suo naso stava sanguinando copiosamente.
Eppure i suoi piedi erano ancora scalzi. Lui non si era mosso da lì, ne era più che certo.

 

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